Luglio 2021
Tornare ad occuparsi di editoria hi-fi dopo 30 anni è una cosa che va spiegata.
Anzitutto a sé stessi.
Non c’è più lo studente universitario che si divertiva ad inzuppare le mani dentro le apparecchiature che gli facevano brillare gli occhi. Non c’è più il neoingegnere lanciato alla conquista del proprio futuro. Non c’è più la follia e l’avventatezza del breve quanto intenso tentativo di avventura imprenditoriale nella produzione di oggetti sonori.
Sento che ci sono ancora gli stessi valori. Rodati. Consolidati. Stratificati. Il desiderio di porre la conoscenza al servizio della divulgazione, della condivisione, della discussione. L’avversione per la mistificazione, per la superstizione, per la volgarità, per la maniacalità. L’ambizione all’equilibrio tra passione e razionalità. E mi scusino gli animi estremi, che rispetto profondamente.
In 30 anni il mondo cambia. E l’ultimo anno vale per 10. Non c’è certo nostalgia per un’editoria fatta coi menabò riempiti coi ritagli sforbiciati ed i disegni fatti a inchiostro di china. Per un giornalismo fatto di informazione senza internet. Fatto di articoli manoscritti, battuti a macchina, consegnati a mano e corretti con una matita rossa. Senza e-mail. Senza cellulari. Senza instant messaging. Senza videoconferenze. Per un giornalismo fatto di una comunicazione col pubblico dei lettori tramite lettere di carta e chiacchierate alle fiere, senza nevrosi da social network.
Ma occuparsi dell’audio-video, per parlare di cosa? Di un supporto prima morto, poi sepolto e infine resuscitato, anzitutto per il piacere fisico di maneggiarlo? Di un digitale in perenne lotta con la garanzia dei diritti d’autore ma sempre più astratto, ormai liquefatto e, probabilmente, destinato ad evaporare rapidamente in una nuvola di bit? Di amplificazioni in cui convivono tesi ed antitesi, infinito argomento di sfide partigiane, tra l’emergente modernismo -incomprensibile e capace di miniaturizzare il miracolo di dinamiche esplosive- ed il fascino antico e rassicurante degli altari monumentali, col tepore dei loro ceri a filamento, o col calor bianco eruttato da radiatori scolpiti in quintali di metallo inossidabile.
Per fortuna che io mi occupo prevalentemente di quella magia che trasforma l’elettricità in vibrazioni dell’aria. Quelle vibrazioni capaci di restituire dettagli eterei, di ricostruire miraggi olografici, di scuoterci fino alle ossa, alla coratella e a quello che c’è intorno. E, pur se le critiche tecnologie planari sembrano archiviate, che meraviglia scoprire l’infinità di proposte diverse! Nuove e vintage. Compatto e gigantesco. Sussurrante o urlante. Per un pubblico con gusti ed esigenze diverse. Meno disposto al compromesso.
Continuare ad occuparsi di tutto questo è un privilegio. Come autori e come lettori.
Torniamo a scrivere. Torniamo a leggere.
Anzitutto per il gusto di farlo ancora.
Francesco Sorino