Posso elencare la formazione che lo ha suonato, e già quest’elencazione basterebbe a molti come recensione: James “palla di cannone” Adderley al sax alto, John “sua Santità” Coltrane al sax tenore, Bill Evans al piano (sostituito solo un attimo, da un “poveraccio” come Wyn Kelly in “Freddie Freeloader”), Paul Chambers al contrabasso e James Cobb alla batteria. Ora, dico, vorrei che qualcuno avesse il coraggio di elencarmi una formazione migliore. Nemmeno tirando giù dai campi elisi i migliori di tutti i tempi se ne potrebbe assortire una altrettanto magnifica.
Posso dire che Kind of Blue è il disco più venduto nella storia del jazz, e posso anche azzardare oltre. Ma prima devo aprire una parentesi: qualche anno fa (più di qualche ahimé) ero un brillante giovane insegnante di Storia dell’Arte, in un certo Liceo Artistico della capitale, ed avevo la fortuna, oltreché di aver avuto (ancora era possibile) una “cattedra”- si chiamavano così le scrivanie del Liceo Artistico, con questa pomposa forma universitaria- per “chiara fama”, di poter lavorare assieme a colui che era stato non solo il mio professore di Storia dell’Arte, ma in assoluto il più grande ed amato tra i miei maestri di vita. Quest’uomo straordinario si chiamava e, Dio lo benedica e lo faccia vivere in eterno, si chiama, Aurelio Fruzzetti, mi piace ricordarlo ogni volta che posso forzando la sua naturale schivezza e la sua incommensurabile onestà, un’onestà totale, un’onestà talmente impensabilmente totale, che aveva fatto sì che un grande pittore, quale Fruzzetti era ed è (e quando dico grande intendo dire Grande) nascondesse per sempre e a tutti la sua infaticabile opera (che io ho sbirciato ogni volta che ho potuto), scegliendo di guadagnare un modesto stipendio da insegnante pur di non assecondare quella vergogna che è il mercato dell’arte.
Cosa c’entra Fruzzetti con Miles?
C’entra, c’entra. Accidenti se c’entra! Vedete, c’è un termine desueto e da molti detestato, un termine che io da buon bastian contrario amo, ma non riesco a vedere applicato – se non in sempre più rari, anzi rarefatti casi- nell’attuale andamento del mondo. Il termine è “rigore”. E per essere artisti (è uno dei motivi per i quali non lo sarò mai) occorre essere rigorosi, estremamente rigorosi. Miles lo era, e Kind of Blue, nella sua meraviglia, nella sua magica fascinazione, nell’amore che contiene e diffonde, è opera di rigore paragonabile soltanto alle più rigorose tra le opere sacre di Bach. C’è rigore, accidenti se ce n’è, nell’amore. C’è rigore, oppure non c’è amore, ci può essere un pizzico di passione, ci può essere incanto e batticuore, ma non ci può essere amore.
Torniamo al Professor Fruzzetti: un giorno, durante una delle nostre interminabili chiacchierate vertenti su cielo e terra, acqua e fuoco, amore e psiche e chi più ne ha più ne metta, ci ritrovammo a parlare, come spesso ci capitava, dei nostri amatissimi impressionisti. E in particolare del più amato tra gli amati, Paul Cezanne. Qualche mese prima ero stato a Parigi ed avevo mandato una cartolina al Professore. Era una delle innumerevoli Montagne St.Victoire che Cezanne aveva dipinto, nel tentativo eroico e disperato di capire l’essenza finale di quella montagna che si stagliava di fronte alla sua casa di Aix (morì, vecchio e assorto sino all’incoscienza nell’ennesimo faccia a faccia con la sua montagna, portato via dalla tempesta assieme a tela e cavalletto. Lo trovarono agonizzante a un centinaio di metri dal suo punto d’osservazione preferito). Sul retro della cartolina, folgorato dal mio primo incontro col Museo d’Orsay, scrissi “lo so, non si può dire, ma gli impressionisti, e Cezanne su tutti, sono stati i più grandi artisti della storia”. Quel giorno parlando di Cezanne, il Professore (come vorrei che lo conosceste tutti!) mi guardò negli occhi, e abbandonando per un attimo il suo rigore che – in tutta evidenza- impediva improbabili classifiche di merito dell’Arte, mi disse: “si può dire, si può dire. Sono stati i più grandi artisti della storia, e Cezanne su tutti”.
Fatto questo lungo giro giustificatorio, ora posso dirlo: Kind of Blue è il più grande, inarrivabile, disco nella storia del jazz. Ma non lo posso descrivere, posso solo dire ai più giovani dei lettori: “ascoltatelo, non potete farne a meno” e ai meno giovani “abbiatelo sempre a mente, non lasciate che riposi mai troppo tempo in uno scaffale”. Questo è per me Kind of Blue.
Questa strepitosa “replica” della Classic Recordings, etichetta specializzata unicamente in vinile, tanto accurata e preziosa da esser stata scelta persino da Peter Gabriel per la versione in vinile del suo recente “Up”, rappresenta un’occasione ghiottissima sia per i più giovani, per avere questa meraviglia in discoteca, e per averla nella sua edizione “più meravigliosa” sia per chi già possiede l’album, per ascoltarlo al massimo del suo fulgore.
Rigorosissima nella sua assoluta fedeltà all’originale -in nessun punto della copertina o del disco troverete né il marchio “Classic Recordings” né alcunché d’altro che differisca dall’emissione originale, tranne la purezza assoluta del vinile vergine utilizzato, il suo peso record di 220g, ed il fatto che ciascun disco è stampato partendo dal master originale e da matrici da prima stampa- La “replica” offre un suono semplicemente strepitoso. Credetemi non c’è alternativa che tenga. Dopo l’ascolto di questo vinile, l’edizione giapponese in CD rimasterizzata a 24bit, pagata comunque un occhio della testa, sembra una cassetta registrata dalla radio. E non sto eccessivamente iperbolizzando. Ascoltate la voce argentina della tromba, i soffiati dei sax, l’incredibile solidità e ampiezza armonica del contrabbasso, la lucidità del piano. Beh, se qualcuno voleva avere una riprova della superiorità del vinile, del miglior vinile, eccola, “pret a sonner”.
Costa caro questo disco? Si, costa caro, ma costa caro il vinile, costa caro stampare il vinile oggi, costa caro soprattutto stamparlo così. Il prezzo è allineato in tutto il mondo (anzi forse in Italia è persino un po’ più basso della media). E comunque costa come un paio di CD di musicaccia da basso consumo o come un DVD. Qui non c’è da vendere la Mercedes o la pelliccia della moglie (come recitava il famoso incipit di una famosa recensione di un famoso preamplificatore in due telai). Rinunciate a due CD che possono risultare superflui, non comprate quel DVD, oppure saltate un paio di pizze con gli amici, ma non privatevi, per nessuna ragione al mondo, di questa meraviglia.
Non avete il giradischi?
Allora è proprio arrivato il momento di comprarlo.
Bebo Moroni