Ha sfornato 4 album, 1 ogni 2 anni, a partire dal 2012.
Analizziamo l’evoluzione della discografia di questo autore di musica “che non verrà ascoltata”.
Qui di seguito, i titoli dei 4 album commentati sono link alle rispettive pagine del sito web ufficiale e, negli elenchi delle tracce, i titoli delle canzoni sono link alle pagine contenenti i testi.
2012: Portrayed by a Blind Painter
Tracks
1. Alone
2. Empty room
3. Friend
4. Hand in hand
5. Immortality
6. It hurts
7. No name
8. On my own
9. Pattern of survival
10. Reminder
11. The sun is coming back
12. Unable
13. Where are you?
14. Who am I?
Released 2012-10-01
Written and produced by Fabio Scagliola
Fabio Scagliola: guitars, bass, vocals, piano
Pietro Micheletti: drums
Recorded and mixed by Alberto Rapetti in Verona, Italy, April-August 2012
Album art, photos, and design by Fabio Scagliola
Un big-bang -la scintilla iniziale- è doloroso. Lancinante. Lacerante.
E fa rumore.
Di chitarre distorte.
L’elaborazione di un dolore privato, purtroppo comune, la fine di un’unione, di quelle nate “per sempre”, nel 2012 ha spinto Fabio Scagliola a guidare la sua band italo-elvetica e partorire l’album d’esordio: Portrayed by a blind painter.
Più che uno spunto creativo. Praticamente una psicanalisi. Una catarsi. Una discesa agli inferi. Che scava in profondità. Il dolore per i sentimenti feriti disorienta, crea un magma turbolento, che smuove il fondo melmoso, e fa affiorare quei malesseri esistenziali lì sepolti e stratificati: solitudine, vuoto spirituale, difficoltà di nuove relazioni, depressione nichilista, isolamento sociale (anche autoinflitto).
Ma la crisi è anche punto di svolta, è opportunità, per chi ce la fa, attraversando il disagio. Per chi, dopo aver toccato il fondo, strisciando come un bruco, ed essersi chiuso in un bozzolo, riesce a completare la metamorfosi, bucare l’involucro e volare come farfalla, raggiungendo un superiore livello evolutivo.
Lo stile espressivo è istintivamente legato a quel grunge minimale in cui l’autore è cresciuto. Sia da adolescente, nei primi anni ’90, ascoltando ed assorbendo Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains, Dinosaurs Jr., e respirando l’aria di Seattle, prima negli sporadici pellegrinaggi da studente innamorato del grunge, poi -ripetutamente e più a lungo- nei primi anni 2000, trascorsi alla corte di Microsoft (Fabio Scagliola, di professione, è un informatico che progetta software).
Le suggestioni, per quanto rielaborate, sono riconoscibili: riff, suoni distorti, un paio di brani in 7/4. Alcuni critici hanno scritto che aggiunge poco a quanto già prodotto dagli “ammerikani” 20 anni prima, e che questo grunge di montagna è una versione “asettica, debole e patinata”, di quello DOCG, di mare, tra USA e Canada occidentali. Ma non è che il dolore ha più valore solo se è cantato da qualcuno scappato dal Midwest al Greenwich Village, in perenne lotta (destinata alla sconfitta) contro la dipendenza da oppiacei!
Queste 14 tracce sono canzoni con testi -in inglese- duri e spietati, ruvidi, anche se senza forti -o forzate-provocazioni di vocabolario. Io sono troppo vecchio per conoscere a fondo e amare il genere, per decodificarne il linguaggio nei dettagli, ma mi sembrano ben eseguite, arrangiate e prodotte. Pensarle e proporle, controcorrente, 20 anni dopo l’apice del fenomeno grunge, rappresenta una coraggiosa scelta identitaria. L’autore-cantante si esibisce anche in un polistrumentismo, alternandosi e sovraincidendosi, tra basso, chitarre, e piano. In studio invoca aiuto solo per la batteria. Live anche per basso e tastiere.
Anche se l’album termina con domande senza risposta (Where are you?; Who am I?), si colgono sprazzi di ottimismo e di speranza.
Morte e resurrezione: la terapia ha funzionato!
Ma ci ha anche messo lo zampino il giovane figlio di Fabio, col breve testo ingenuo di The sun is coming back.
2014: Public static void
Tracks
1. Intro
2. Chasms
3. Outcast
4. Lighthouses
5. Aura
6. Mirror
7. Destination
8. Scraps
9. Sevle
10. Organ
11. Fugue
Released 2014-03-21
Written and produced by Fabio Scagliola
Fabio Scagliola: guitars, bass, vocals, piano, organ
Pietro Micheletti: drums
Recorded and mixed by Alberto Rapetti in Verona, Italy, June-December 2013
Album art, photos, and design by Fabio Scagliola
Meno di 2 anni dopo l’esorcismo del primo album, di quel dolore resta la cicatrice, che chiude la ferita, consente di continuare a vivere, ma che ogni volta che ci si posano sopra gli occhi o che la sfioriamo distratti con le dita, ne rinnova il ricordo. Lasciati alle spalle dolore, rabbia e solitudine, si tenta di riordinare il disordine interiore, di riconciliarsi con il proprio mondo, dopo l’alienazione.
La pacificazione, però, non è facile. È facile essere risucchiati negli abissi (Chasms) o autoemarginarsi per incompatibilità coi compromessi dell’esistenza (Outcast). La sofferenza trascende e, dalla dimensione totalmente introspettiva, privata, diviene universale, ineludibile caratteristica genetica di un homo sapiens che ha fatto il funerale di Dio, lo ha sepolto (Aura), e lo rimpiange. Ma ora la visione è più nitida: anche nel buio, è guidata dalla luce dei fari (Lighthouses).
In Scraps e in Organ affiora la consapevolezza dell’impossibilità di far arrivare il proprio lamento agli altri, assordati dal lamento proprio e dal rumore di fondo, in un destino di incomunicabilità, ma non di inutilità, di queste piccole opere minori, create quasi esclusivamente per sé stessi, nel tentativo di prendere il controllo del proprio destino. Opere di musica che non è scritta per essere venduta (come lo è sempre ogni musica autentica), e quindi “che non verrà ascoltata”.
Fabio, con la stessa formazione del primo album, recupera ancora una volta dal cuore di Seattle i riverberi e le sonorità con cui è cresciuto. Ma fin dall’introduzione, poco più di 40” di piano solo, si manifesta un suono più morbido e ricercato, nonché il tentativo di correggere un’eccessiva omogeneità espressiva che è forse il difetto maggiore del precedente album di esordio. O, almeno, questo è quello che appare al mio ascolto, da non addetto ai lavori grunge. Come quando ci si avventura in città sconosciute e ci sembra tutto troppo uguale. In questo disco invece spuntano in più brani frammenti con protagonista il pianoforte, o addirittura l’organo, e si contrappongono alla voce graffiante e agli strumenti elettrici, con distorsore d’ordinanza.
2016: Post mortem memento vivere
Tracks
1. Ante mortem
2. Remember to live
3. Nihil durare potest tempore perpetuo
4. Son and father
5. Atheism is not for everyone
6. Son to father
7. My grandfather used to know how to fly
8. Compensation
9. After death
10. Father to son
11. Acceptance
Released 2016-09-01
Written and produced by Fabio Scagliola
Fabio Scagliola: guitars, bass, vocals, piano, organ, and drums
Home recorded and mixed by Fabio Scagliola in Lugano, Switzerland, January-July 2016
Album art, photos, and design by Fabio Scagliola
Dopo altri 2 anni, nel 2016, Fabio propone un significativo cambiamento di marcia. A cominciare dal titolo dell’album, in latino, come anche quello di 2 brani. Un classicismo decisamente in contrasto con l’anglicismo, imperativo per il grunge degli inizi. Inoltre ci si distacca dalla forma-canzone, pervasiva del passato, e 6 degli 11 brani sono ora strumentali, in una metamorfosi che si completerà col lavoro successivo, completamente strumentale.
Interpreto che il bisogno di comunicare in maniera didascalica sentimenti forti è ormai pago e la creatività, divenuta più matura e “risolta”, può elevarsi e sublimare nella ricerca musicale.
Anche la cifra stilistica è cambiata: il grunge delle reminiscenze adolescenziali inizia a lasciare posto a quello che l’autore definisce una sperimentazione post-rock o post-metal e che invece io, che ho qualche annetto in più, soprattutto nei riusciti e ipnotici brani strumentali Nihil durare potest tempore perpetuo e Atheism is not for everyone, classifico come un new progressive. In My grandfather used to know how to fly e in After death questo prog diviene dominato dai colori dark dell’organo e degli effetti che stravolgono la chitarra.
Dai temi ispiratori sembra scomparsa l’angoscia introspettiva degli esordi ed emergono quelli più generali dell’ateismo (e, indirettamente, del conseguente vuoto spirituale: Atheism is not for everyone) e delle mille fobie che complicano il nostro quotidiano (Remember to live), a cominciare dalla madre di tutte le paure: la paura della morte (Ante mortem; Remember to live; Nihil durare potest tempore perpetuo; After death).
Il confronto col figlio che sta attraversando la complicata fase adolescenziale sposta poi l’attenzione sui rapporti genitoriali (Remember to live; Son and father; Son to father; Father to son) e sui legami familiari (My grandfather used to know how to fly). In Remember to live, tra le altre paure, si ripresenta quella di rimanere inascoltati (un verso recita “Nessuno mai ascolterà questo”).
L’autore s’impadronisce completamente della produzione, facendosi carico di suonare anche la ritmica della batteria. In qualche brano mette da parte la chitarra elettrica distorta per imbracciare da protagonista la chitarra acustica. Ne guadagna la varietà delle atmosfere proposte, fino al finale dilatato di Acceptance che, senza parole, comunica un rassegnato superamento delle laceranti tensioni emotive degli album precedenti.
2018: Proposed tracks for unproduced movies
Tracks
1. Introspect
2. Projection
3. How it should have ended
4. The essence of nothing
5. Whose life is this I am living
and leaving behind?
6. Alpha moon
7. The people
8. Regret
9. The nonce
Released 2018-12-01
Written and produced by Fabio Scagliola
Fabio Scagliola: guitars, bass, keyboards, and drums
Home recorded and mixed by Fabio Scagliola in Lugano, Switzerland, February 2017 – November 2018
Album art, photos, and design by Fabio Scagliola
L’album più recente completa il processo evolutivo segnato dal precedente. Tutti i brani sono strumentali. Le ruvide atmosfere grunge sono abbandonate per approdare definitivamente a quello che definisco un new progressive, non privo di contaminazioni dell’elettroacustica tedesca, con abbondanza di sperimentazione su tastiere elettroniche ed effetti di ambienza e riverbero.
Come dichiara l’autore, il titolo «Ironizza sulla consapevolezza che in pochissimi ascolteranno questo album, così come in pochissimi ascoltano le colonne sonore dei film non prodotti”.
E possiamo dire che è un peccato, perché insieme ai capelli e ai testi l’autore ha perso la drammaticità dei lavori precedenti. Conquistata, con sacrificio, una nuova consapevolezza del sé maturo, guadagnata un’almeno apparente liberazione dalle tensioni con la realtà (soprattutto quella interiore), il musicista si permette solo ora -paradossalmente- un linguaggio più accessibile, fuori dai cliché del grunge e delle sue camicie di flanella a quadroni.
Quella che all’esordio era la coraggiosa scelta identitaria, controcorrente, dettata dalle proprie origini ed esperienze giovanili, è finalmente sostituita dalla nuova identità, umana oltre che artistica, costruita sulle esperienze della maturità.
Una curiosità: il brano finale, The Nonce, è dedicato a una astrusa entità informatica che doveva dare il nome al progetto originario della band di Fabio. Nothence ne è l’anagramma, generato casualmente da un errore tipografico agli esordi e quindi mantenuto.
Per chi voglia infrangere le certezze dell’autore di questa musica “che non è scritta per essere venduta” e “che non verrà ascoltata”, i CD dei 4 album, attualmente privi di distribuzione commerciale, possono essere acquistati direttamente dal sito ufficiale Nothence, dove i primi 2 album sono comunque ascoltabili in bassa risoluzione tramite i link a Soundcloud e Bandcamp (che offre anche l’acquisto dei file lossless).
Il formato mp3 può essere acquistato e scaricato in streaming da Amazon. Il download è possibile anche tramite iTunes e GooglePlayMusica mentre lo streaming è disponibile da pressoché tutti i servizi (Spotify, Tidal, Deezer, AppleMusic). Su Qobuz sono disponibili solo i primi 3 album, in streaming e in download, anche in qualità CD.
Francesco Sorino