Le app per streaming hanno infatti già iniziato a diffondersi, tra smartTV, ricevitori SAT e lettori Blu-ray, con a bordo vari “ecosistemi” simili ad Android (o lo stesso Android), dotati di applicazioni adeguate.
Sono stati raggiunti anche il ricevitore SKY-Q, i vari personal assistant di Amazon e Google, oltre a tutti i più recenti dispositivi audio collegabili alla rete.
In particolare abbiamo ricercato soluzioni dimostrative, di approccio allo streaming (non mi fate sentire “streammatura” o qualche insulsa coniugazione del verbo “streammare”, che non rispondo più di me). Soluzioni esplorative, per chi sia incuriosito e voglia sperimentare, senza troppo impegno economico ma col rigore tecnico che sprema il massimo potenziale, ben oltre i limiti dell’mp3. E anche senza rimanere ancora in colpevole astinenza, in attesa del momento giusto per acquistare, coi risparmi sudati in anni, “l’ultimo modello”, quello definitivo, di riferimento, da strombazzare in giro.
Queste tecnologie corrono alla velocità dell’informatica e in pochi anni lo scenario può cambiare radicalmente.
Facciamocene una ragione.
Le specifiche per i dispositivi
1. Rigorosamente “fanless”, cioè senza ventole di raffreddamento. Non è solo per il silenzio che si addice ad un oggetto per uso hi-fi, in cui 10 dB di rapporto S/N valgono soldi: ormai ci sono ventole molto silenziose, o, meglio, che producono un rumore non superiore ai 30 dB del rumore di fondo di una casa silenziosa. La ragione è nell’affidabilità (ciò che si muove, si consuma e si rompe più di quello che non c’è) e nel degrado delle prestazioni nel tempo, a causa dell’usura e della polvere che progressivamente si accumula negli scambiatori di calore e nelle feritoie di areazione. Quindi microprocessori (o, meglio SoC, system on chip) moderni, che dissipano pochissimi watt pur girando con clock di gigahertz, in abbinamento a dissipatori passivi, consentono di mantenere anche dopo molte ore di funzionamento la temperatura moderata, assolutamente a livello simile agli altri dispositivi audio a stato solido.
2. Ampia indipendenza da un monitor. Per essere pienamente utilizzabile dalla distanza di ascolto di circa 3 metri, tale display dovrebbe essere da ben oltre 40″. Mentre ascolto musica, io amo leggere i testi delle canzoni, le note biografiche dei musicisti, i credits, e per rendere pienamente leggibili i testi, con la vista che non è più quella dei vent’anni, il monitor dovrebbe essere da oltre 50”.
Insomma, si imporrebbe di fatto un approccio più Home Theatre che audiofilo. Io il sistema HT ce l’ho da un’altra parte: mi serve uno streamer per lo stereo. Punto.
3. Soluzioni orientate a interfacce utente grafiche e tattili, su dispositivi portatili. Pur tenendo a freno lo zapping compulsivo, come non rimanere affascinati dai contenuti aggiuntivi messi a disposizione dai servizi di streaming? Voglio poter comandare tutto, godermi le copertine, navigare nei menu, leggere testi, biografie, credits. Fare tutto quello che non mi faccia rimpiangere il maneggiare copertine di cartoncino e booklet con foto e testi. Standomene in poltrona. Personalmente penso che la competizione tra i servizi di download musicale si giocherà sulla quantità, qualità e fruibilità di tali informazioni aggiuntive, forse ancor più che sulla qualità audio risultante dagli algoritmi con cui questi provider vanno inequivocabilmente a stravolgere (talvolta in meglio) i master originali.
4. Dispositivi hardware pressoché “trasparenti” per l’utilizzatore, non solo a livello operativo ma anche fisico, quasi invisibili, o occultabili, dato che l’estetica degli oggetti autocostruiti e/o a basso costo rappresenta una criticità, perdente nei confronti dei pezzi di un buon impianto, sul suo bel mobiletto, nel salotto o in un elegante soggiorno.
5. Massima priorità a software gratuiti, o quasi. Lo sappiamo: niente è veramente gratuito… ci sarà pubblicità; saranno versioni demo, castrate di funzioni determinanti; raccoglieranno informazioni per bigdata…
6. Dispositivi hardware facilmente riciclabili una volta esaurita la funzione hi-fi, se verremo colti da desideri di upgrade. A tale scopo invito a non lesinare troppo sulla dotazione hardware, intesa come quantità di RAM, di memoria di massa, di connessioni, specie quando le differenze valgono solo una manciata di euro. Non sono previsti premi per chi si aggiudica al prezzo più basso un dispositivo appena funzionicchiante (che è diverso da ben funzionante). In compenso una riserva di potenziale aiuterà ad allungare un po’ la vita tecnologica del dispositivo, facendo fronte all’escalation di funzionalità aggiuntive, e magari consentendo di ricollocarlo, anche ad altri scopi. Ad esempio per “smartizzare” un TV obsoleto, o un monitor per PC.
Discorso simile vale per il software di sistema: in particolare per Android, che è il sistema operativo (=il cuore funzionale di qualsiasi microcomputer) più diffuso al mondo, più di Windows, grazie soprattutto a quasi il 75% di tutti gli smartphone in circolazione (che sono microcomputer pure quelli).
Proprio come gli smartphone, consiglio di ambire sempre alla versione più aggiornata (oggi è la 11). A maggior ragione per questi dispositivi border-line, per cui è inutile sperare in aggiornamenti OTA: i piccoli fabbricanti cinesi che ci sono dietro pensano solo a sfornare continuamente nuovi prodotti senza spendere un soldo nel mantenere quelli precedenti.
7. Ottenere, anche dalla poltrona, la completa fruibilità di Tidal (o Qobuz), i servizi di streaming di alta qualità più accreditati presso gli audiofili, per sperimentare gli standard tecnologici HiRes superiori allo standard CD-audio. Nonostante l’offerta di un periodo gratuito, non ho mai provato Qobuz ma, dopo un paio d’anni di abbonamento Tidal, non mando giù che l’interfaccia utente di Tidal, anche al livello premium, sia rimasta mancante della funzione di sincronismo client-server. È una vera castrazione rispetto a Spotify e YouTube, in cui ogni client (il software in cui l’utilizzatore impartisce comandi e interagisce col servizio) può trasformarsi in server (software che esegue i comandi ricevuti da un altro client).
Informaticamente non è una soluzione complicata. Quindi è una scelta di marketing e forse, andando avanti, capiremo pure il perché…
Il controllo remoto
Che ci piaccia o no, una delle conseguenze dell’ascolto in streaming è la tendenza allo zapping.
Se già nessuno è più disposto a muoversi per variare il volume d’ascolto, pensate se vi salterebbe mai in testa di guardare la Tv senza telecomando per cambiare i canali.
Coi servizi di streaming audio, avendo a disposizione milioni di titoli di tutti i generi, continuamente stimolati dalle playlist suggerite dagli algoritmi che interpretano i nostri gusti musicali, la frequente commutazione tra brani, generi, versioni, è irrefrenabile. Abbandonate le liturgie manuali obbligate dai supporti fisici, l’istantaneo cambiamento di programma musicale è a portata di dito, come il rischio di derive schizofreniche.
Ma quel “saltare di palo in frasca” consente di espandere le nostre esperienze musicali a generi e ad autori che probabilmente non avremmo mai sfiorato tramite l’acquisto di dischi e CD, e quindi un’efficace cruscotto di controllo è condizione irrinunciabile per godere di questa benedetta musica liquida.
Nello streamer HiFiBerry, presentato nella prima prova di questa rassegna triangolare, molto intelligentemente, l’interfaccia utente di un sistema nativamente privo di display è delegata a un web server, che consente l’interazione tramite una pagina internet visualizzata in un qualsiasi browser, vale a dire lo strumento per navigare in internet che ormai abbiamo tutti non solo nel PC ma anche nello smartphone e nella maggioranza dei TV (o dei dispositivi ad esso connessi).
Poca spesa. Tanta resa.
Il miracolo è reso possibile dai web services, che scambiano pacchetti di informazioni attraverso la rete ma senza attese e quindi con riscontro pressoché immediato, anche se l’apparenza è spartana.
Nelle altre 2 architetture scelte, tale soluzione non è stata cercata, anche perché mi sono posto obiettivi più ambiziosi in termini di completezza e gradevolezza dell’interazione.
Iniziamo a dire che, come interfaccia di controllo del sistema, intendo sperimentare, oltre all’onnipresente smartphone, anche 2 “vecchi” tablet in mio possesso, entrambi da 10”, con Android 8 (praticamente dei rottami, ormai). Uno è il modesto Lenovo 104, con 2GB di RAM e display 1200×800, l’altro è un cinese rampante, con 4GB di RAM e display 2560×1600. Costavano praticamente la stessa cifra, tra 150 e 200€ (ma oggi con quei soldi, dalla Cina si prende un Android 11 con 12GB di RAM e 512GB di memoria di massa, praticamente più della maggior parte dei PC Windows utilizzati professionalmente). Sarei curioso di provare anche il comportamento dell’altrettanto vecchio iPad Air che ho in casa ma, da qualche mese, non si accende, è “brickato”, come dicono i nerd, perché si è persa la password e Apple non perde l’occasione per mettere fuori uso un prodotto, accampando motivi di sicurezza, per stimolare una nuova vendita.
La scelta per l’hardware
Avendo già un DAC all’altezza del mio sistema stereo, la soluzione in assoluto meno costosa l’ho realizzata col minicomputer Android T95max.
Classificati come “Tv-box” e commercializzati coi nomi più disparati, queste cinesate sono pensate per rendere “smart” i televisori vecchi o superati dalla veloce evoluzione tecnologica.
Infatti sono moltissime le TV in circolazione, magari con immagini ancora spettacolari, ma prive di collegamento a internet, per l’agevole accesso a servizi ormai pervasivi, come la lettura dei quotidiani, YouTube, facebook, Amazon, o con microprocessori lenti, non reattivi ai comandi (“laggano”, come dicono i giovani nativi digitali), inaffidabili nella lettura di file esterni su memorie USB, o privi dei client per i servizi di time-shift o video-on-demand di recente diffusione, come RAIplay, Netflix e Amazon Prime Video. Del resto molti televisori moderni hanno adottato proprio Android come software di sistema, per gestire i sempre più diffusi servizi smart, legati alla connettività web, e interattivi.
Ora non iniziate a ridere: circa 2 anni fa ho pagato il mio T95max la bellezza di 32€, nella dotazione con 4GB di RAM e 32 GB di memoria di massa (oggi, a qualche euro in più, lo prenderei con 64GB: la fame viene mangiando). Monta un Android 9 con un’interfaccia utente a pulsantoni (figura), tipica del genere, pensata per interagire su grandi schermi tramite il telecomando in dotazione, commutabile tra puntatore tipo mouse e spostamento tipo joystick, entrambi di scarsa precisione. Immaginate il divertimento a inserire testi nella tastiera che compare in sovraimpressione sullo schermo!
Mettiamoci l’anima in pace: per un uso gradevole occorre una tastiera fisica, ovviamente wireless, magari con touchpad incorporato. Io uso la fida Logitech K400, oppure si trovano Tv-box in convenienti bundle con tastiere che, oltre al touchpad, hanno anche la funzione gamepad, di cui adottano la forma, e sono addirittura retroilluminate (figura). L’esborso aggiuntivo è praticamente lo stesso: una ventina di euro.
Nel mio T95max non c’è Bluetooth (presente in altri modelli) quindi occhio a scegliere l’accessorio compatibile o a cercare modelli di Tv-box che ne siano dotati.
Data la differenza di costo ridicola, sconsiglio l’acquisto di questi oggetti direttamente in Cina, scavalcando organizzazioni italiane (come la stessa Amazon, o altri importatori) in grado di consegnare più velocemente, evitando ogni problema di dogana, e con un minimo servizio-clienti.
Bene, preso atto che la consistenza del Tv-box e del telecomando è quella di giocattolini di plastichetta, che sarà meglio nascondere dagli sguardi degli amici criticoni (soprattutto quelli audiofili), con poco più di 50 euro abbiamo in mano un piccolo computer multimediale, già pronto, con niente da assemblare, e con prestazioni hardware assolutamente adeguate agli scopi proposti.
La RAM di 4GB garantisce buona fluidità pur sovrapponendo più funzioni e servizi.
La memoria di 32 o 64GB è sovrabbondante per caricare le app aggiuntive che ci serviranno ai nostri scopi e i vari Gbyte che rimarranno liberi metteranno a disposizione abbondante spazio di buffer, per il trasferimento di brani musicali non compressi, e per la memoria temporanea (cache) delle informazioni ausiliarie che verranno acquisite in tempo reale, insieme ai brani.
In particolare dobbiamo pensare alla miriade di copertine, e spesso anche spezzoni video, che verranno visualizzate mentre cercheremo i brani. Se volessimo comunque avere una maggiore memoria locale in cui accumulare i brani di nostra proprietà, è possibile inserire in una fessura del fianco una memoria TF, come quella usata dagli smartphone, con capacità fino a 128GB (costa circa 15€). Tanto per capirci: sarebbero oltre 60 ore di musica in formato HiRes 96k/24bit, o oltre 200 ore in formato CD, o quasi 1000 ore in formato mp3 a 320kbps.
Insomma: se ci tagliano la connettività, potremo comunque passare bene parecchio tempo.
Determinanti a esprimere il potenziale sono le dotazioni di ingresso e uscita. Possiamo tranquillamente ignorare l’uscita audio-video analogica su jack 3,5mm, proveniente da chissà quale schifezza di DAC. L’uscita video digitale HDMI, in standard 2.0a, compatibile con segnali 4K HDR, la utilizzeremo solo per la configurazione iniziale. A meno che il DAC a cui vogliamo collegarci non preferisca proprio tale formato, che regge sovracampionamento audio fino a 192kHz/24bit (x8 canali, che significa fino a 768kHz/24bit in stereo). Come al solito la porta ottica SPDIF Toslink è quella più limitata, in questo caso a 48kHz/24bit. Infatti, il mio obiettivo dichiarato è utilizzare l’uscita USB 2 per entrare nel DAC con sovracampionamento fino agli inarrivabili 768kHz/32bit. L’altra porta USB 3 la userò per il collegamento della tastiera/touchpad o per un microfono USB con cui impartire comandi vocali (e Android ha una eccellente comprensione del parlato, oltre a un’ottima sintesi vocale) o per il collegamento di memorie di massa esterne (memorie USB o HDD o SSD, che ormai hanno capacità iperboliche, più utili in campo video).
Il mio obiettivo è usare la porta USB 2 per cercare di spremere le massime potenzialità dal mio DAC, un Topping D50, con DAC Sabre e porta USB con XMOS capace di 768kbps/32bit e decodifica DSD512. Le porte SPDIF sono invece limitate a “soli” 192kbps/24bit e DSD64.
Oltre alle manie tecnologiche a caccia di bitrate mirabolanti, sono anche obbligato, perché la porta ottica Toslink è occupata a convertire il segnale del mio CD player.
L’ultimo connettore è per la rete Ethernet cablata. Ovunque possibile il cavo è sempre da preferire al wi-fi, a meno che l’access point della rete domestica sia molto vicino o in grado di garantire un campo forte e stabile.
Accensione e configurazione
Dopo aver collegato uno schermo provvisorio, anche una TV, all’accensione le operazioni da eseguire sono simili a quelle dell’attivazione di un nuovo cellulare: se il collegamento cablato è impossibile, occorre scegliere la rete wi-fi inserendone nome SSID e password. Quindi inserire le credenziali di un account Google, magari quello di cui usiamo anche i servizi cloud di Google Drive, coi suoi 15GB gratuiti di memoria, accessibili ovunque, comodissimi per trasferire e condividere tra dispositivi i file di ogni tipo.
Dopo l’impostazione di lingua e formato data-ora, passiamo a quella dell’uscita video. A parte la configurazione iniziale, sarà un’impostazione che caratterizzerà l’efficacia dell’interazione da dispositivo portatile. Io ho trovato ottimale la risoluzione di 720 linee (x1280 pixel orizzontali), compatibile anche con smartphone e tablet di fascia bassa. Per avere buona leggibilità ho scelto caratteri di dimensione “grande” e spaziatura degli elementi grafici “predefinita” (ce ne sono 3 livelli più grandi).
Per l’audio abbiamo la possibilità di scegliere quali uscite attivare e, collegato il DAC tramite il cavo USB, notiamo che viene riconosciuto come “AUDIO_USB_D50”. Però se impostiamo “Audio pass through”, per scavalcare i ricampionamenti interni (figura seguente), di uscita ne possiamo scegliere solo 1, che ovviamente deve essere quella di collegamento al DAC.
Qui arriva una prima delusione: tramite la USB, che pur riconosce la sigla del DAC, non esce nulla, immagino per problemi di driver.
Per l’HiRes occorrerà quindi cercare e tentare soluzioni software più raffinate.
Software per player e streamer
Intanto prendiamo confidenza con le app preinstallate. Alcune possono essere tranquillamente rimosse, per fare pulizia. Non sarà il caso dei client Spotify e YouTube, che come noto hanno la preziosa funzione di sincronismo col client che possiamo usare su un dispositivo portatile.
Chi l’ha inventato, ha il posto assicurato in paradiso.
Negli screenshot del tablet di controllo si vede come nella rete siano stati individuati ben 5 dispostivi su cui gira Spotify e da ognuno è possibile decidere quale commutare in ascolto.
Con una giusta impostazione della dimensione dei testi e della disposizione delle grafiche, l’efficace interfaccia grafica di Spotify è leggibilissima sui miei schermi da 10” (lo sarebbe anche su 7 o 8”) e, per chi si voglia cimentare nel karaoke, offre la lettura dei testi sincronizzata con la riproduzione.
Dal Playstore ho installato immediatamente il client di Tidal che, su uno schermo FHD, si rivela spettacolare per nitidezza delle copertine ma la disposizione degli elementi è pensata per uno sviluppo verticale (il solito smartphone) mentre il T95, essendo un Tv-box, prevede solo la disposizione orizzontale, che in alcune pagine rimane “vuota” e non sfruttata, in altre fin troppo affollata e forse occorrerebbe aumentare la dimensione dei caratteri, per aumentarne la leggibilità.
Non è che siamo esigenti e non ci accontentiamo. I softwaristi di Tidal non saranno mica dei cani. Sono convinto che certe limitazioni siano legate alla presenza di software di terze parti che sono in grado di sostituire in maniera più efficiente l’interazione coi servizi Tidal.
Il software ideale sarebbe quello che, in una veste grafica scintillante come quella di Spotify, offra interfacciamento con la maggior parte dei servizi di streaming (oltre a Tidal e Qobuz, gli altri sembrano ignorati, forse per le oscure manovre di accordi commerciali e di royalty, che ne rendono già presenti i client in vari ecosistemi consumer, come Sky-Q) e, allo stesso tempo, offra accesso all’archivio presente localmente, nella memoria residente o in una connessa su USB, nonché servizi DLNA di accesso agli archivi di un file-server presente nella rete locale (che sia un PC con grossa memoria, o un NAS dedicato allo scopo) o addirittura residente su servizi cloud che, fino a prova contraria, sono il posto più sicuro su cui far “evaporare” i nostri file di musica liquida, specie se sono costati ore ed ore di digitalizzazione.
Bene, anche se non soddisfano tutti i desideri, qualcosa del genere esiste, anche tra il software a basso costo e che è possibile provare gratuitamente. Deluso da Hi-Fi Cast che si rivela poco più di un player, espanso dall’accesso alle web radio ma privo d’interfacciamento ai provider, la scoperta di HiBy Music è apparsa una rivelazione.
Ma la cinesata è in agguato anche sul fronte software…
HiBy è essenzialmente un fabbricante di player portatili “tuttoschermo”, su base Android, anche di qualità pretenziosa, eredi del concetto Apple-iPod.
Il software si presenta agguerritissimo: predisposto per Tidal, con tanto di decodifica dei file in formato MQA (Master Quality Audio, quello Tidal di qualità maggiore), che quindi diventano fruibili anche da DAC non predisposto, nonché di decodifica DSD, per spalancare le porte all’audio HiRes più elitario.
Non solo, le specifiche promettono di tentare l’attivazione di un canale bit-perfect, per scavalcare lo stack USB che nei computer può soffrire di problemi di sovraffollamento e di sincronismo, assolutamente perniciosi per l’audio hifi.
In effetti la configurazione dei vari parametri è piuttosto laboriosa e, in mancanza di documentazione, frustrata dall’incomprensibilità di tanti acronimi tecnici. Quasi una laurea a parte…
Il software può essere impostato come client o come server e ne ho collaudato la funzionalità tra i 2 tablet (però si sente la mancanza di un server per Windows o Mac).
Sul T95 si soffre sempre lo sviluppo della grafica, orientata a display verticali ma, soprattutto, si soffre un’incompatibilità che, al tentativo -indispensabile- di impostare la modalità server manda l’app in crash tombale, con corruzione di qualche parte fondamentale e necessità di disinstallare e reinstallare.
Solo per ripetere la stessa frustrazione.
Ho pensato “E vabbé: sò cinesi!”. E quando un Tv-box cinese da 4 soldi incontra un software cinese gratuito, l’unico uomo morto rischia di essere l’operatore.
Comunque la brutta notizia è che il potente collegamento USB resta ancora inespugnato…
Roon e JRiver
Ho dato quindi uno sguardo a 2 tra gli audio player più accreditati dagli audiofili, Roon e JRiver, che equipaggiano anche streamer integrati in prodotti di alta e altissima gamma.
Per Roon, ci mettiamo subito l’anima in pace: su Android è disponibile solo il client “remote”, con abbonamento di circa 120€/anno e test gratuito di 2 settimane (ma con lo sgradevole deposito anticipato della carta di credito: malfidati) , mentre il server “core”, gratuito, è disponibile solo per Windows, Mac, Linux e per alcuni NAS di alta gamma (QNAP e Synology).
Dato che Android poggia su una base Linux, qualche nerd potrebbe pure pensare di forzare il sistema, ma a questi livelli lo sforzo tecnologico non vale il risultato. Dubbio.
Certo che Roon è un prodotto raffinato, molto orientato al multiroom e alla gestione della domotica audio.
Ne riparleremo…
Jriver è presente in Android con un’app server, venduta una tantum a un costo pari al canone di un mese di Roon. Applaudo fragorosamente alla scelta non elitaria, unica che potrebbe avere senso su un giocattolino da poche decine di euro.
Sul Playstore sono disponibili anche 3 client per JRiver.
JRemote è quello ufficiale, venduto alle stesse accessibilissime condizioni del server; Gizmo ne è la versione semplificata, gratuita, che considero adeguata solo all’uso su smartphone, in cui sono poco sfruttabili le informazioni aggiuntive e contano solo quei 4-5 comandi-base.
Con impostazione simile, lo spartanissimo M0 4Media è anch’esso gratuito (cioè parte con un periodo limitato di prova o prevede l’inserimento di messaggi pubblicitari, o forse trafuga i nostri gusti musicali per passarli a bigdata…).
Per ora ho trascurato test più approfonditi, in attesa di sciogliere i dubbi sull’utilizzabilità della USB.
BubbleUPnP
Intanto ho trovato come soluzione-tampone l’app BubbleUPnP, anch’essa predisposta a gestire i servizi musicali di Tidal e Qobuz, con struttura client-server in unico modulo, gratuito, con inserzioni pubblicitarie. L’upgrade alla versione licence, che elimina la pubblicità e rimuove limitazioni marginali, costa una cifra ridicola, ragionevole per il T95.
Il produttore, Bubblesoft, non è l’ultimo arrivato ed è il fornitore del player-streamer usato in prodotti prestigiosi, come i Linn.
Il funzionamento è molto simile al riferimento costituito da Spotify: da ogni client presente nella LAN è possibile selezionare nella lista la postazione da porre in ascolto, trasformandola in server (fig.1). Quindi consente anche un semplice multiroom (molto semplice, paragonato a Roon…).
Già utilizzandolo nel Tv-box, il software si dimostra “intelligente” nello sfruttare automaticamente il formato orizzontale, lì obbligatorio. Come evidente nella figura a destra, passando sulle voci corrispondenti ad album o autori si attivano dei menù a scomparsa, sensibili al contesto, che offrono molte informazioni aggiuntive (se presenti). Ad esempio è possibile visionare a tutto schermo la copertina dell’album, o il pdf del libretto (booklet), la discografia o aggiungere alla playlist, o leggere i testi.
Un vero salto di qualità si ha usandolo da tablet. Le varie schermate sono ben leggibili sia in orizzontale che in verticale e, anche con la grafica a 2560×1600 punti, non ci sono rallentamenti, perché tra client e server sono scambiati solo i comandi mentre il rendering grafico è locale e quello audio avviene sul dispositivo remoto.
A proposito: ci sono varie regolazioni di ottimizzazione della gestione digitale dell’audio, con possibilità di forzare la riduzione da 24 a 16 bit (se necessario per il DAC esterno) o il ricampionamento a 48kHz delle tracce con diverso samplerate (idem) e, nel caso, di impostare un ricampionamento ad alta qualità (a spese del lavoro extra del processore).
Insomma, roba da rendere ancor più amara l’impossibilità di usare il collegamento USB.
Per chi debba comunque collegarsi in HDMI o in SPDIF ottico, il risultato è comunque grandioso rispetto alla spesa.
Remote desktop (anche) per Android
Prima di concludere questa presentazione, desidero segnalare uno strumento che uso da tempo e che mi è stato prezioso in questi esperimenti: AnyDesk.
È un software di desktop remoto multipiattaforma, disponibile per Windows, Android, iOS, macOS, Linux, FreeBSD, Raspberry Pi, Chrome OS.
Una volta configurato consente quindi di vedere e di operare su un dispositivo (nel nostro caso il Tv-box) attraverso l’interfaccia utente di un altro dispositivo connesso nella stessa rete.
Di fatto, senza ricorrere ai player-streamer multipiattaforma, con il controllo remoto si possono controllare i vari client dedicati, privi di sincronizzazione. Quindi Tidal (con la faccia illustrata al principio di questo articolo) ma anche VLC, Foobar (o altro) per l’accesso DLNA all’archivio musicale residente nella memoria locale, su un PC in LAN, su un NAS o su servizi cloud. Ma garantisco che non è la stessa cosa…
Nei miei esperimenti avevo costantemente in linea il PC Windows, la Tv-box e i 2 tablet (avrei potuto aggiungere lo smartphone). Una volta completata la configurazione iniziale del Tv-box, ne ho staccato il monitor e ho gestito tutta l’interazione a distanza, dal PC o da un tablet.
La reattività ai comandi è molto buona come anche la resa delle immagini (ovviamente ci sono dei parametri di regolazione con cui si può ottimizzare una prestazione a discapito dell’altra).
Nelle figure precedenti ho riportato a sinistra lo screenshot su tablet del client AnyDesk, pronto ad agire, e a destra quello che riproduce lo schermo remoto del T95 controllato. Si riconoscono perché il tablet ha formato 16:10 mentre il TV-box è 16:9, quindi nella visualizzazione nessuna parte dello schermo remoto viene coperta dalla riga di stato superiore e dai pulsanti di spostamento in basso.
Una volta impostati i permessi dell’accesso, questo può diventare automatico: è sufficiente che il dispositivo da controllare sia acceso per attivare il servizio server e quindi consentire il controllo remoto su richiesta del client.
È anche possibile il “passaparola”, controllando il Tv-box con un tablet e controllando il tablet col PC (e così via, tipo catena di sant’Antonio).
Ovviamente mentre il client su dispositivi tattili offre gli strumenti d’interazione sullo schermo touch, con tastiera virtuale e vari altri comandi dedicati, in sovrimpressione, il client su PC è orientato ad una interazione tramite menu, pulsanti ribbon, mouse e tastiera fisica.
Sicuramente la massima immediatezza d’uso si ha quando il dispositivo controllato a distanza ha interfaccia utente uguale a quella del controllore. Quindi benissimo tra PC e PC come tra tablet/smartphone e tablet/smartphone. Qualche artificio in più nei collegamenti misti, in particolare nella simulazione del mouse del PC tramite comandi touch, da tablet.
Ma questo è un tema che verrà approfondito nella prossima puntata.
Menzione speciale per la qualità dell’immagine ottenibile in remoto sul tablet, con perfetta resa delle sfumature, migliore di quella ottenuta sul PC, che trasforma le sfumature in colori scalettati.
Tirando le somme
Nonostante l’accettazione, almeno per ora, di qualche compromesso sulla connettività e sul bitrate HiRes, con soli 50€ possiamo entrare nella sperimentazione, ma anche nella fruizione piena, della musica liquida, usando lo smartphone solo come telecomando wi-fi ma dimenticando i limiti della solita connessione Bluetooth usata finora, magari associata a materiale in scarso mp3.
Non vorrete mica lasciare ancora quel vecchio laptop accanto all’impianto “buono” nel salotto “buono”?
Come al solito in hi-fi, una volta preso gusto al nuovo strumento, non ci sarà limite alle possibilità di crescita, coi tanti dispostivi allo stato dell’arte disponibili sul mercato, standalone o integrati in DAC e DSP, in amplificatori “digitali” o addirittura in sistemi di altoparlanti attivi, direttamente connessi alla rete.
Francesco Sorino