Dopo le complesse considerazioni generali dell’editoriale “Signora mia! Dove andremo a finire?”, veniamo ai prodotti ed alla musica, esaltati dall’entusiasmo degli appassionati che nella sala Plenaria rovistavano tra dischi, CD, riviste, libri, accessoristica, cercando di recuperare dall’astinenza della clausura forzata.
Avvicinandoci alle salette dimostrative, purtroppo ritroviamo vecchie cattive abitudini, difficili da eliminare. Nonostante la generalizzata tendenza (o volontà) di evitare prove di forza acustica, con livelli sonori e repertorio mediamente da lounge, il vizio o la necessità di lasciare aperte le porte della maggior parte delle sale generava la classica cacofonia da fiera. Un applauso agli espositori che sono riusciti a concordare coi loro vicini dei turni per le sedute di ascolto, condotte a porte chiuse.
Come detto, più che nel passato, il repertorio delle prove evitava accuratamente esibizioni muscolari, spesso deludenti in ambienti così lontani dalle realtà domestiche. Visitando le varie sale ho registrato livelli sonori assolutamente allineati a quelli casalinghi e ho apprezzato la mancanza di evidenti errori timbrici, per difetto dei materiali esposti, del loro posizionamento o dell’acustica ambientale. Pur dominando quella penombra che fa molto high-end e che complica non poco le riprese video-fotografiche, alcuni ambienti erano resi accoglienti dagli stessi accessori di trattamento acustico.
Faceva eccezione la sala Aventino, di Audiogamma, decisamente spartana ma orgogliosa di consentire ascolti liberi, con repertorio a richiesta del pubblico. Evidentemente si sentivano forti della concretezza di un sistema con amplificazione Rotel-Michi e diffusori JBL 4700, certamente tra i pochi in tutta mostra in grado di reggere gli sforzi richiesti da ambienti grandi e affollati. Il pubblico è rimasto invece un po’ deluso dall’impossibilità di poter toccare con mano e giudicare i rappresentanti di altri marchi iconici distribuiti da Audiogamma: B&W, MarkLevinson, MartinLogan, ARCAM, Pro-Ject, Primare, Copland (e potrei continuare per un po’…), purtroppo rimasti a casa.
Quasi di fronte, in sala Octavia, la GIK Acoustics rendeva invece protagonista il trattamento acustico della sala, specialità della casa. Quanto utile a far esprimere le ambizioni del catalogo Grandinote. Conosciute e apprezzate le elettroniche, meno chiacchierati i diffusori, caratterizzati dall’uso di matrici di 2 soli componenti: dei woofer a cono e dei tweeter a cupola. Nel modello presentato ce n’erano 16 per tipo, presumibilmente in rete serie-parallelo, in grado di sviluppare sensibilità dell’ordine dei 100dB/1W/1m. Viene dichiarato un trattamento meccanico dei coni che consente un filtro meccanico (cioè nessun passa-basso) e un filtro passa-alto minimalista (cioè 1 condensatore).
A fianco, nell’accogliente sala Agrippina, esponeva Audio Reference che giocava pesante, con elettroniche della danese Gryphon (CD+DAC Ethos, con listino “da amatore dal cuore forte”, e amplificazione serie Essence) e diffusori ProAC, un po’ affannati nella grande sala e protetti con un repertorio musicale raffinato quanto tranquillo. Ovviamente, anche le altre sorgenti, sia analogiche che digitali, erano di rango stellare.
Nella sala Remo la Audio Plus aveva l’allestimento più scenografico e affollato e presentava marchi di nicchia ma decisamente ambiziosi: della svizzera Soulution il SACD 541 e la massiccia amplificazione 701 (dei monofonici da 1200W su 4 Ohm, dall’effetto un po’ panzer, che la mia schiena non vorrà mai essere chiamata a spostare) oltre ai valvolari Absolare Passion Signature, per i diffusori Marten Parker (Parker nel senso di The Bird: tutte le serie maggiori del fabbricante svedese portano il nome di un famoso jazzista), presenti in 2 taglie: Duo e Quintet (indovinate quanti altoparlanti montavano ognuna?).
Curiosando sul retro degli impeccabili mobili si svelavano i radiatori passivi, in numero pari ai woofer.
Sorgente analogica d’onore i monumentali giradischi nipponici TechDAS Air Force III Premium. Immagino che il nome della serie Air Force dipenda dal prezzo, confrontabile con quello di un cacciabombardiere e il modello esposto (circa 40.000€ di listino) è proposto a meno di 1/12 dell’ammiraglia… Anche se parlare, in questa sede, del mercato di tali oggetti, in Italia, mi sembra vano, un po’ come discutere al bar confrontando le tariffe dei voli commerciali di SpaceX, di Blue Origin e di Virgin Galactic, il tutto sorseggiando una mediocre birretta nazionale.
Quindi roba che vola alto. Altissimo. Ma l’oggetto che mi ha più impressionato tra tutti quelli presenti, che facevano a gara, è il pre-phono più maestoso che mi sia capitato di vedere (ed anche di immaginare, lo ammetto): AllNic H-7000V, un 2-telai a tubi dalle scelte circuitali sofisticate e dalla realizzazione affascinante, con le valvole ingabbiate in involucri-vetrina di vetro e metallo.
Si meritano la foto del dettaglio ingrandito.
Il dinamici rivenditori D’Agostini e AudioQuality occupavano le sale Adriano e Domitilla ospitando il distributore HiFight. Durante il mio passaggio, un suo responsabile arringava il pubblico con uno spiegone (non scevro da licenze tecniche) sull’abbinamento del subwoofer KEF KC62 alle LS50W, il compatto 2-vie coassiale, attivo, wireless con streamer incorporato, che oggettivamente rappresentava una rara occasione di modernità tecnica, unita ad una accessibilità economica che ne moltiplicava l’apprezzamento.
Come scontato per dei negozianti erano presentati molti marchi tra cui spiccavano per originalità i diffusori KEF, basati sul fortunato componente coassiale, e l’elettronica all-in-one Cambridge Audio EVO 150, non a caso entrambi insigniti del Best Product EISA Award 2021-22. In particolare l’EVO 150, un amplificatore 2x150W che, grazie ai miracoli di compattezza dei moduli Hypex in classeD, incorpora anche streamer digitale, DAC (con chip ESS Sabre ES9018K2M), ingressi digitali e analogici universali, ingresso phono MM, uscita linea e uscita subwoofer.
Si rivela un autentico jolly e, proprio in coppia coi diffusori KEF in versione passiva, potrebbe rappresentare una proposta di estremo interesse per modernità, versatilità, e accessibilità ad un pubblico finalmente vasto ed eterogeneo, ben oltre la setta hi-endista. Infatti, col modello inferiore, EVO 075, di metà potenza e alleggerito di alcuni ingressi, il sistema supererebbe di poco i 3000€ (ma le caratteristiche aggiuntive del 150 valgono bene i circa 500 € di differenza ). Ad alcuni sembrano tanti, per un sistema integrato e che fa poca scena? 3000€ sono solo il doppio degli smartphone di grido, che ci portiamo in tasca e che dopo 2 anni sarebbero comunque da buttare. Una volta fatta l’abitudine ad un tale sistema, chi riuscirebbe a resistere dal completarlo col citato subwoofer attivo KC62? Anche lui è premiato EISA 2021-22, ed è equipaggiato con un complesso quanto esclusivo trasduttore push-push e con un’amplificazione 2x500W, che lo rendono capace di vibrazioni insospettabili, concentrate in appena 15 litri.
Nella grande sala Marco Aurelio esponeva lo storico distributore Exhibo. Il successo delle cuffie Sennheiser teneva talmente occupati gli espositori, che non hanno trovato il tempo di riempire il mio modulo per la raccolta d’informazioni. In autonomia ho potuto apprezzare la super-soundbar AMBEO, coi suoi 13 altoparlanti e 500W di picco integrati, in grado di simulare tramite “virtualizzazione” un intero sistema audio home-theater, completo di effetti 3D. Ovviamente non mi sembra che abbia alcunché in comune con il Dolby Atmos, che veniva citato spesso nei dintorni. Purtroppo nella demo audio-video ho trovato inaccettabile la presenza di clip video con rapporto anamorfico errato e conseguente stiramento delle immagini.
La promiscuità col resto della sala ed un posizionamento approssimativo rispetto alle pareti (necessarie al corretto funzionamento del sistema, basato anche sulle riflessioni) non rendevano giustizia alle ambizioni di questa raffinatezza tecnologica. Promette di abbattere le complicazioni inibenti che hanno contribuito ad arrestare la crescita dell’home-theater a componenti discreti.
Nel resto della sala ad attrarre le attenzioni del pubblico erano soprattutto le pregiate elettroniche tedesche T+A. In particolare veniva esibito il PA3100HV, un integratone accreditato di 2x500W su 4 Ohm, con una bella coppia di grandi VU-meter integrati in un più ampio display. L’amplificatore, coricato su un fianco e privo di coperchio, mostrava tutte le delizie all’interno, tra cui spiccava un toroidale da 1kW. Alla mercè del pubblico era ostentato anche il solo pannello frontale, un pezzo unico apparentemente scavato dal pieno d’alluminio, spesso 2 dita e pesanti diversi chili. Senza nulla togliere alla classe del prodotto, personalmente trovo un po’ volgare lo spreco di materiale privo di fondate necessità tecniche: fornisce un’idea di produzione insostenibile, rafforzato dai toni un po’ “panzer uber alles”, degni di abbuffate a base di stinco di maiale, patate e crauti.
La Luxury Group nella sala Celio, tanto per cambiare, esibiva altro materiale da vedere, ascoltare superficialmente ed uscire facendo battute sulle quotazioni stratosferiche del set-up dimostrativo. A parte la fisiologica puzzetta sotto il naso dei responsabili a contatto col pubblico, gli affari devono andare forte dato che anche qui non hanno avuto il tempo di riempire il mio modulino di raccolta dati e mi hanno invitato a fare da me, copiando quanto affisso sull’ingresso.
Altre elettroniche tedesche Burmester (CD+amplificazione pre+2 finali stereo bridged) e diffusori danesi Raidho, componevano un sistemino da 350.000€ di listino, chiavi in mano, se non ho fatto male i conti. Ma sicuramente uno sconticino ci scappa, forse quanto basta per prenderci un giradischi decente e la cavetteria.
Certo che, a giudicare dalla diffusione in questa mostra e dai prezzi, si potrebbe pensare che l’economia di Germania e Danimarca sia fondata saldamente sulla vendita di audio high-end.
Se i diffusori sono l’ammiraglia TD4.8, le elettroniche berlinesi intendevano probabilmente offrire una specie di pacchetto promozionale per nababbi, dato che solo il giraCD apparteneva alla Reference Line mentre pre e finali “solo” alla Classic Line. Per carità, comunque un trionfo di metallo, tra lucide cromature e anodizzazioni satinate, dettagli con finiture impeccabili, ma si ha come l’impressione, dico l’impressione, che il peso dei contenuti estetico-costruttivi superi quello delle tecnologie elettroacustiche.
I diffusori non sono da meno: sono probabilmente i mobili più rifiniti in cui mi sia mai imbattuto ma, in assenza di documentazione, ho cercato invano qualche nota di vera originalità progettuale per trovare invece la solita sfilza di altoparlanti, 2 midrange da 100 mm e 6 woofer da 115 mm, disposti simmetricamente rispetto ad un tweeter a nastro.
Insomma, più o meno quello che avrebbe partorito un autocostruttore, forse pure mediocre ma dotato di eccelse capacità di falegnameria e abbastanza ricco da procurarsi componentistica con profusione di materiali compositi dai nomi tanto roboanti quanto poco credibili. Girando per i corridoi ho purtroppo raccolto opinioni d’indifferenza nei confronti di quello che era impietosamente definito come “er totem de radica laccata”. Etichetta che non rende giustizia alla ricerca di perfezione costruttiva, espressione all’ennesima potenza dei concetti introdotti da Sonus Faber 40 anni fa. Come anche questi prodotti non rendono giustizia a mostre ignorate da tycoon, da sceicchi arabi e da magnati cinesi e in cui anche la parte del pubblico più avvezza a spese oggettivamente folli, ricerca anche originalità progettuale e concretezza tecnologica, finalizzate alle prestazioni elettroacustiche. E il confine tra il “vorrei ma non posso” e il “potrei ma non voglio” è sottile quanto quello tra lusso e cafonaggine ostentata.
La visita al seminterrato si è conclusa nella sala Traiano, dove Audio Living Design esponeva delle eccellenze del made in Italy (finalmente!), servite da sorgenti inglesi (il bel giradischi supermolleggiato AVID Acutus) e giapponesi (Il CD player TAD D1000 mkII). Al centro del palcoscenico troneggiava un finale stereo californiano VTL S400-II, capace di spremere centinaia di watt da una dozzina di valvole.
Ma la nostra lingua, con accento laziale, era parlata da 2 poderosi amplificatori mono Audia Flight Strumento 8, che con una esorbitante capacità di potenza sfidavano dalla distanza le altre quintalate di amplificatori stranieri presenti nelle altre sale. La stazza di queste elettroniche imbottite di materiale alla fine penalizza un po’ il design che invece appare molto più gradevole negli altri prodotti di un catalogo ormai insospettabilmente completo. Tutta tale potenza straripante era messa a disposizione di una coppia di diffusori Albedo Acclara, opere di alto artigianato marchigiano.
Con turni d’ascolto ben cadenzati il sistema, illuminato da una luce blu ben piazzata, era tra quelli che più hanno suscitato attenzione nei visitatori. Oltre alla realizzazione complessa e raffinata dei mobili, i contenuti tecnici non mancano: al di là della ormai “solita” componentistica tedesca Accuton, coi suoi altoparlanti a membrana ceramica convessa e il tweeter con cupola in “diamante” (spero si finisca presto di abusare di queste etichette fuorvianti e assolutamente poco brillanti). Interessante anche il progetto acustico del 3 vie italiano: i 3 woofer sono caricati da una doppia linea di trasmissione, speculare, rivelata dalle bocche che si aprono sul retro e dotata anche di risuonatori. Prezzo non popolare ma competitivo in rapporto a realizzazioni straniere decisamente più povere di contenuti.
Della ventina di espositori che di dividevano camere e suite del 1° piano, oltre alla ancora maggiore cacofonia legata alla situazione, voglio ricordare solo un’anonima camera in fondo allo striminzito corridoio, in cui ha mietuto successi un altro sistema italiano che si distingueva anzitutto per la cortesia, l’ospitalità e l’entusiasmo dei giovani espositori-imprenditori. L’amplificazione piemontese Delta Sigma (pre con alimentazione lineare a filtro induttivo e robusto finale stereo a stato solido) faceva sprizzare gradevole musica dai diffusori Stones Speakers Venetia 487. A prima vista dei banali 2-vie bass-reflex, con la particolarità di avere il mobile scavato nella pietra dei colli Euganei. Beh, visto il peso, mobile è un termine poco adatto.
Ormai è da un po’ che si vedono in giro e l’originale alternativa veneta alle opere di falegnameria è benvenuta, a sparigliare con una ventata di modernità il cliché dei masselli secolari scavati dal pieno, delle laccature lucide, della gommalacca-e-spirito, dei fregi metallici e dei dettagli in pelle. Questo look da Antenati di Hanna&Barbera (“Wilma, dammi la clava!”) risulta infatti decisamente più in sintonia con gli arredi moderni.
Come far fronte alla mancanza di protezioni degli altoparlanti e alla polvere che si potrà accumulare nella porosità della pietra, lasciata al vivo, è tutto un altro paio di maniche.
Francesco Sorino
Bel reportage, anche condividendo le note di sarcastico humor, necessarie qui e là…